Sono bravi tutti a dire che tizio è colpevole perché “è scritto nelle sentenze”.
Non esiste terreno più accidentato della verità. E non esiste peso peggiore da sopportare o da trasportare perché la verità è una forma geometrica spuria, dalla densità imprecisata. Ho pensato che potrebbe avere l’aspetto di un ‘Gömböc’.
Molte facce, ma un solo punto di equilibrio stabile.
Invece la verità mi sembra qualcosa di ulteriormente complicato.
Sempre più spesso un racconto coerente, che ci sembra una strada asfaltata e facile da percorrere, si trasforma in una trappola.
Se esistesse una manifesto del mio approccio mestiere di giornalista, suonerebbe pressapoco così:
«Né la contraddizione è indice di falsità, né la coerenza è segno di verità»
Che poi è il motto al quale mi ispiro quando mi cimento nella lettura della realtà che mi circonda e che mi è capitato di sperimentare molto presto fin da bambino.
Non vi è mai capitato di raccontare un fatto rocambolesco che vi è capitato e che sia farcito di elementi, veri, che all’interlocutore appaiono strampalati?
E vi è mai capitato di dover dire una frottola? Ai vostri genitori, a un prof a scuola, al partner, agli amici?
È vero o no che quando ‘dovete’ farvi credere a tutti i costi imbastite un racconto lineare, coerente, self-standing?
Se la risposta è ‘sì’, allora avete capito il punto.
E allora avrete capito anche il titolo di questo numero della mailing-list. E se vi piace, come sempre di chiedo la cortesia di diffonderla tra i vostri contatti.
«Libera lingua in commodo loco»
Domenica scorsa la puntata di ‘Le Iene presentano INSIDE’ dedicata alla “Strage di Erba” non ha solo raggiunto milioni di persone. Ma ha fatto ordine in una vicenda così complessa che oltre 190 minuti di racconto ci sembravano sempre meno del necessario.
E, anche questa volta, ancora più persone hanno capito quanto è seria la questione e quanto è grave cosa è successo alle vittime del massacro.
Ma anche a chi di quel massacro risponde ingiustamente scontando un ergastolo per un crimine che non possono aver commesso.
Ma resistono, ultimi giapponesi, anche quelli che continuano a dire che la verità è tutta scritta nelle sentenze. Che basta leggere quelle.
Ecco… lingue in libertà che camminano sul soffice prato della ‘cosa giudicata’.
Nessuno di loro, così, corre il rischio di doversi imbattere nella montagna di atti da cui le sentenze scaturiscono. E quindi confrontarsi con questa mole inaccettabile di incoerenze e travisamenti della realtà.
Lingue in libertà che, al riparo dalla fatica, ondeggiano per attaccare o ripetere le solite due tre frasette senza senso. Dico senza senso perché non ha più senso ripetere certe cose di fronte all’evidenza. E dico che avrei preferito che qualcuno si fosse preso la briga di smentire uno solo dei fatti che sono stati elencati domenica scorsa.
Con Francesco Priano abbiamo sottoposto ogni capitolo del nostro racconto alla più semplice, ma spietata, tecnica della falsificazione. E ogni volta il risultato è stato lo stesso. Il racconto resiste. Resiste ma…
Il giudice non può condannare l’orgoglio 👩🏻⚖️
Qualche mese fa il quotidiano ‘La Provincia di Como’, alfiere della tesi accusatoria ai tempi del processo di primo grado e baluardo di difesa del giudicato successivamente, ha messo in piedi un podcast.
Qui non solo vengono difese, senza il minimo approccio critico, le (uniche!) tre prove che reggono la condanna all’ergastolo per Rosa Bazzi e Olindo Romano. Ma vengono valorizzati aspetti sui quali nemmeno i giudici, per pudore, hanno deciso di soffermarsi più di tanto.
Rispetto il lavoro di tutti. E comprendo la posizione di chi, dovendo ammettere di avere creduto in qualcosa di non così solido, provi disagio e debba difendersi “attaccando”. Cambiare idea è una delle poche cose che mettono in crisi gli esseri umani.
Tuttavia riconosco il merito giornalistico di avere raccolto le parole di uno dei giudici che hanno scritto la sentenza di primo grado.
Si tratta di Luisa Lo Gatto, che accetta di essere intervistata.
Il podcast è uscito due mesi fa, ma grazie alla puntata di domenica, oggi può beneficiare di una pubblicità indiretta che lo trascina fuori dall’irrilevanza.
Ecco le parole della dottoressa Lo Gatto riportate dall’agenzia ANSA:
«L'accanimento innocentista degli ultimi sedici anni ha alimentato il livello dei conflitti", spiega la giudice Luisa Lo Gatto che ha scritto le oltre 280 pagine di sentenza sul caso e che parla per la prima volta nel podcast.
Durante il processo le vittime dirette ed indirette hanno reso le loro deposizioni in condizioni di forte stress, dovuto ad una cross examination particolarmente serrata e poco rispettosa, anche a causa della pressione mediatica: il clima di tensione era evidente».
Sorvolo sul disprezzo di un magistrato nei confronti dell’esame incrociato del testimone che tanto più è incalzante tanto più rappresenta l’ossatura di un vero contraddittorio di cui ciascuno di noi ha diritto, quando deve difendersi nel processo penale.
Ciò su cui non si può sorvolare, a mio avviso, sono due elementi.
Il primo: non esiste nessun accanimento innocentista. Perché ai tempi del processo non solo la difesa, ma ogni voce dissonante rispetto al teorema accusatorio, veniva messa alla berlina. Attaccata. Infamata.
Il secondo è l’omissione scientifica di una circostanza che il pubblico ha il diritto di sapere.
La giudice Lo Gatto, assieme al Presidente Alessandro Bianchi, è la responsabile della manipolazione dell’audio della prima deposizione di Mario Frigerio fatta sentire in aula alle parti, ai giudici popolari e all’opinione pubblica.
In sostanza, grazie alla giudice Lo Gatto, la frase pronunciata da Mario Frigerio che era «È stato uscendo», grazie al suo maldestro uso di un programma informatico, diventa «È stato Olindo».
E questa circostanza viene riconosciuta dalla sentenza d’Appello, con una minimizzazione della gravità del fatto che mi fa accapponare la pelle, ma soprattutto teorizzando una sorta di ‘miglioramento del ricordo’ nel tempo, smentito duramente dall’evidenza scientifica in tema di ‘ricordo’ e ‘memoria’.
A ‘La Provincia di Como’ i bravi giornalisti non hanno fatto in tempo a farlo notare.
Ho smentito la profezia del Prof 👨🏻🏫
Non solo sono felice del risultato in termini assoluti di ascolto della puntata di ‘INSIDE’ sulla “Strage di Erba”. Sono felice perché i numeri dicono che nella televisione italiana non esistono programmi a contenuto informativo che raggiungano soglie del 13% di pubblico nella fascia 15-34 anni.
E poi sono felice anche perché ho smentito la profezia del professor Ennio Amodio.
Ennio Amodio è uno dei padri del nostro codice di procedura penale. È un avvocato penalista e professore emerito di Procedura Penale all’Università di Milano. Una persona alla quale ispirarsi.
Ma soprattuto è l’autore di un libro al quale sono molto legato.
Si intitola ‘Estetica della Giustizia penale’ e mi ha molto aiutato a comprendere in profondità alcuni errori commessi nel corso della mia attività giornalistica. È una buona fonte per chi volesse una critica, severa, sul processo mediatico.
Vi cito un passaggio che sono contento di avere smentito con il mio lavoro. Spero di strapparvi un sorriso.
«Una trasmissione in cui si smontasse un teorema accusatorio e si dimostrasse che gli inquirenti hanno preso un grosso abbaglio non sarebbe concepibile. In primo luogo si trasformerebbe in un contempt rivolto ad una Procura, una offesa che taglierebbe le gambe alle indagini in corso d'opera.
Al di là di questo, la televisione non può permettersi di offrire lo spettacolo della innocenza perché gli indici di ascolto ne sarebbero penalizzati.
Come si è già detto, il grande pubblico vuole ricevere messaggi rassicuranti sulla capacità della polizia e della magistratura di contrastare la criminalità. Anche il piccolo schermo deve dunque adeguarsi alle attese di una audience che reclama la punizione dei colpevoli, da conquistare persino passando sopra alle smagliature di una investigazione con le gambe storte». (pag. 177)
Insomma domenica scorsa abbiamo provato l’impossibile e siamo stati ricompensati.
Un podcast da ascoltare, un collega da imitare 📻🎙️
Ma perché mi occupo della “Strage di Erba” da così tanti anni?
Grazie a Felice Manti, che con me e l’avvocato Fabio Schembri condivide i natali a Reggio Calabria. E grazie a Edoardo Montolli che ho conosciuto grazie a lui.
I primi libri ‘controcorrente’ in questa storia portano le loro firme. E gli sforzi di studio e approfondimento sono figli delle ore e ore di studio di Felice ed Edoardo. Tempo sottratto al tutto il resto. Un sacrificio enorme sull’altare della verità.
Cinque anni fa ci siamo incontrati e ne abbiamo fatta di strada!
Ho trasposto nel linguaggio della tv le sue scoperte. E ho sviluppato alcune delle sue piste andando a cercare, una per una, le persone coinvolte in questa storia. Alle sue scoperte si sono aggiunte le mie. E oggi questa storia è tornata al centro del dibattito pubblico.
Un ottimo esempio di cooperazione sullo stesso argomento con linguaggi differenti.
Ha lanciano un podcast che trovate QUI e che vi consiglio caldamente!
Non di soli balletti è fatto TikTok
TikTok. Non l’ho ancora capito abbastanza. L’unica cosa che mi è molto chiara è che se vuoi raggiungere un pubblico sotto ai vent’anni di età è il posto giusto. E questi giovani, e giovanissimi, sono letteralmente affamati di giornalismo, politica, giustizia, esteri.
Quindi ho deciso di investire un po’ del mio tempo a creare qualche contenuto su quella piattaforma. Ho sperimentato le live (in un’ora si raggiungono oltre ventimila persone, numeri pazzeschi per me che una settimana fa avevo poche decine di followers) e penso che potrebbero diventare un appuntamento fisso.
Sto sperimentando diversi orari e giorni della settimana per individuare la collocazione migliore.
Ci vediamo anche lì? 😎
https://www.tiktok.com/@a_monteleone
Questa era l’ultima per oggi. Per favore segnala questa uscita a tutte le persone che conosci e che potrebbero essere interessate agli argomenti trattati, mi faresti una cosa che mi ripagherebbe del tempo che ci ho dedicato!
Prima di salutarvi gli auguri di una serena Pasqua 🕊️🐣
Ciao! ❤️
Ciao Antonino, il tuo lavoro è ineccepibile.
A mio avviso, chi sostiene che la verità sta nelle sentenze lo fa perché ne ha bisogno. Perché guardare in faccia l'orrore degli errori sistemici del nostro sistema giudiziario è troppo, per alcuni. Significa che se è successo a Rosa e Olindo - così come a molti altri - allora potrebbe succedere anche a me, a te, a chiunque. Di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Di essere messi sotto pressione e magari cedere. Di vedere le proprie parole e azioni screditate su ogni fronte (addirittura aver mostrato uno scontrino del McDonald's in maniera solerte diventa un indizio di colpevolezza).
E allora è meglio credere nell'infallibile giustizia, è meglio credere di essere al sicuro, perché il sistema giudiziario nella sua interezza ci protegge. E possiamo dormire sonni tranquilli.
Concludo dicendo questo: ha ragione Amodio nel dire che il pubblico vuole messaggi rassicuranti. Ma non è compito dei giornalisti quello di adeguarsi. Il compito dei giornalisti è quello di ritornare a essere il quarto potere: voci imparziali che mettano al corrente il popolo di ciò che fanno le istituzioni, nel bene ma soprattutto nel male. Altrimenti sono meri strumenti di propaganda, e di questo non abbiamo assolutamente bisogno.
Grazie per il tuo lavoro
Se un giudice decidesse di riaprire il processo a carico dei due protagonisti loro malgrado, ed assolverli, sarebbe un avvenimento da Pulitzer. Per ora mi limito a farti gli auguri per una serena Pasqua. A presto.